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Origine della terapia basata sull’esposizione

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La terapia basata sull’esposizione venne messa a punto alla fine degli anni ’50, quando lo psichiatra sudafricano Joseph Wolpe sviluppò una tecnica di desensibilizzazione sistematica, ovvero una forma di esposizione graduata a situazioni ansiogene con l’impiego del rilassamento muscolare progressivo e di esercizi di respirazione come risposta antagonista all’ansia che cresceva.

Il principio sottostante questa tecnica si chiama inibizione reciproca, basato sull’associare due fenomeni opposti: da un lato l’ansia, dall’altro il rilassamento.

Nello specifico, terapeuta e paziente costruiscono una gerarchia di situazioni ansiogene a cui esporsi mentre, per contrastarla, si trovano in una condizione di rilassamento fino a quando l’ansia non diminuisce.

Si procede individuando la situazione più ansiogena e invitando il paziente a stare nella situazione, fino a quando l’ansia non si abbassa. Si crede infatti che alti livelli di ansia non possano essere mantenuti per tanto tempo. Pertanto l’esito finale sarà che il paziente, dopo un iniziale momento di ansia elevata, a seguito dell’esposizione alla situazione temuta, riuscirà a contrastarla con la progressiva pratica di rilassamento, fino a  farla diminuire.

In molti casi l’esposizione in vivo ha portato, dunque, a una sostanziale riduzione dell’ansia e alla disconferma delle aspettative catastrofiche del paziente. La fuga o l’evitamento dalle situazioni temute, infatti, è una condotta estremamente rinforzante, perché i pazienti sperimentano un sollievo immediato. Attraverso questa tecnica, invece, imparano a confrontarsi con le situazioni temute, associando una risposta di rilassamento che contrasta quella di ansia.

Questo vuol dire che, nei soggetti che hanno subìto un trauma, tutti gli eventi correlati al trauma sono associati ad alti livelli di paura e, dal momento che molto spesso si tende a evitare le situazioni più ansiogene, non ci si concede mai la possibilità di verificare se la paura persiste ancora o no.

Edna Foa, una psicoterapeuta cognitivo-comportamentale americana, ha utilizzato il principio dell’esposizione per ideare un approccio mirato al trattamento del trauma, attualmente il più noto in quest’ambito. Per più di 30 anni, Foa e i suoi colleghi hanno sviluppato l’esposizione prolungata (PE) inizialmente per coloro che avevano fobie specifiche, disturbo di panico e disturbo ossessivo-compulsivo, e in ultimo per gli individui con PTSD. Nel 1982, Foa ha ricevuto un finanziamento dal National Institute of Mental Health per studiare l’efficacia dell’esposizione prolungata nei sopravvissuti a uno stupro. Il primo studio cominciò nel 1984 e da allora Foa e i suoi colleghi hanno iniziato a condurre un’ampia ricerca empirica sull’efficacia dell’esposizione prolungata per il PTSD, utilizzando studi controllati e randomizzati.

Le terapie basate sull’esposizione si sono, infatti, rivelate efficaci nel trattamento del trauma, in vari modi. Per questa ragione, in una fase o nell’altra di tutti i trattamenti psicoterapeutici, è utile inserirle. L’esposizione prolungata insegnerà, dunque, al paziente che va bene e può funzionare in modo adattivo, anche se sperimenta alti livelli di ansia. Consente di sviluppare abilità utili per contrastare l’ansia e di avere consapevolezza delle proprie convinzioni erronee, sostituendole con alternative più realistiche.

Riferimenti

  • Marzillier, J. (2014). The Trauma Therapies. Oxford University Press
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