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Perché il trauma imprigiona la mente?

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Uno dei processi più insoliti che accompagna il senso di impotenza, così comune in chi ha subito un trauma, è la percezione che la vittima sia bloccata nel tempo, proprio come un insetto dell’era paleolitica rimane imprigionato in una pietra. Questo stato di blocco può essere correlato alla percezione pressoché continua da parte della vittima che la minaccia è ancora reale, presente, imminente e pericolosa.

 

Essere inondati da immagini, sensazioni, flash, ricordi più o meno lunghi di ogni tipo, che, anche se non ce ne rendiamo conto, sono in qualche modo correlati al trauma, certamente contribuisce alla vividezza della minaccia e al suo persistere.

Inoltre, quando questo avviene, la vittima sente la stessa confusione, incapacità di difendersi, scappare o iniziare qualsiasi comportamento che potrebbe, almeno da adulta, permetterle di liberarsi della presunta minaccia.

 

Le vittime del trauma non sono, dunque, in grado di imparare nemmeno i comportamenti adattivi più rudimentali per far fronte a quello che il loro corpo segnala. Il repertorio di abilità di sopravvivenza resta confinato alle poche capacità apprese fino al momento del trauma; non hanno, dunque, la resilienza per imparare nuove strategie. Sostanzialmente, gli effetti del trauma grave e prolungato sembrano portare a uno stato di progressiva mancanza di resilienza, necessaria ad affrontare le sfide successive al trauma stesso.

 

Dunque, davanti a una nuova minaccia, reale o presunta, le vittime tenderanno a mettere in atto la stessa risposta di congelamento e dissociazione che avevano appreso come reazione al trauma e che ha consentito loro di sopravvivere.

 

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Riferimenti

  • Scaer, R. C. (2005). Trauma Spectrum: Hidden Wounds and Human Resiliency. W.W. Norton & Co.
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