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“Prendete in mano la vostra vita e fate tutto quello che vi rende felici” Intervista a Valentina Belvisi

a cura di Federica Rondino

Valentina Belvisi è una giovane, coraggiosa donna il cui nome è apparso sulle cronache dei giornali per un triste e brutale episodio di femminicidio. Nel 2017, suo padre, Luigi Messina, ha assassinato la moglie Rosanna, madre di Valentina, con 29 coltellate. Da quel giorno, per Valentina è iniziata una battaglia giudiziaria ancora non conclusa. Luigi Messina è stato condannato sia in Primo grado che in appello a scontare solo 18 anni perché non è stata riconosciuta l’aggravante della crudeltà.

Abbiamo voluto incontrare Valentina, non per ripercorrere le fasi di una vicenda tanto dolorosa, ma per conoscere da vicino una donna coraggiosa che con il suo esempio, con la sua forza, può aiutare altre donne/uomini che si trovano a vivere una situazione simile alla sua.

I femminicidi in Italia, nei primi 10 mesi del 2018, sono stati 1 ogni 72 ore (dati Eures).

Valentina, sulla tua pagina facebook scrivi: “Questa vita mi sta facendo la Guerra. Ma non sa, che proprio lei, mi ha fatto Guerriera”.  Dove hai trovato la forza per raccontare la tua storia?

La mia storia come tante altre, purtroppo  ad oggi è un fatto di cronaca ormai quotidiano. La forza di raccontare la mia storia l’ho trovata maggiormente quando mio padre ha chiesto l’appello dove poteva essere applicato un ulteriore sconto di pena dai 18 anni avuti in Primo grado. Ho condiviso la mia storia con televisione, giornali, social network proprio per far sì che la mia battaglia portasse al risultato che lui non ricevesse nessuno sconto. Diciotto anni sono stati già uno scandalo in nome di mia madre.

Durante la tua battaglia, hai avuto l’appoggio di donne e associazioni che nemmeno conoscevi: quanto questo ti ha aiutata?

Dopo la morte di mia madre ho avuto l’aiuto di persone che non conoscevo, ma che poi sono diventate importanti per me.  Mi hanno aiutato con il trasloco dell’appartamento di mia madre. Ma la cosa più importante è stato il giorno dell’appello dove hanno organizzato un presidio fuori dal tribunale in mio nome per sostenermi. Ecco mi sono sentita voluta bene da tutte quelle persone che potevo anche non conoscere perché arrivavano da tutta Italia.

Prima del processo di appello hai voluto incontrare tuo padre, cosa gli hai detto, cosa hai provato?

Ho deciso di incontrare mio padre perché ritenevo fosse giusto parlare e guardare in faccia l’uomo che mi ha portato via, in un modo crudele, la persona più importante della mia vita: mia madre. Gli ho detto quello che pensavo, che non avrà mai il mio perdono e che presto avrò il cognome di mia madre. In quel momento avevo sentimenti contrastanti perché, in un modo o nell’altro, prima dell’accaduto, quell’uomo era mio padre anche se non è mai stato capace a farlo.

Hai dichiarato che avevi provato a dire a tua madre di andarsene lontana da quell’uomo, ma lei rimaneva. Perché credi che non se ne andasse?

Mia madre aveva paura di mio padre. Mio padre in trent’anni di vita insieme le ha fatto come un lavaggio del cervello escludendola dalla vita normale di tutti i giorni.  Questo è il risultato di un amore malato dove se non ti auto-convinci che è distruttivo nessuno ti può aiutare.

Cosa ti senti di dire ad altre giovani/ragazzi che stanno vivendo una situazione simile alla tua?

Di non arrendersi mai. Io ho combattuto e ne sono uscita fuori più forte di prima. Prendete in mano la vostra vita e fate tutto quello che vi rende felici.

Stai per diventare madre qual è il più grande insegnamento che ti piacerebbe dare a tua figlia/o?

Vorrei insegnare a mio figlio/a l’amore verso il prossimo. Il rispetto, l’educazione verso i genitori e tutto ciò che li circonda. Avrà la famiglia che non ho avuto io.

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