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La percezione di minacce fisiche e sociali in chi ha subìto un trauma

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Noi esseri umani normalmente siamo destinati ad affrontare, nelle nostre vite, una serie di rischi. Molti di questi possono comprendere vere e proprie minacce alla nostra incolumità fisica. Molte delle esperienze traumatiche sono, infatti, associate a pericoli fisici, come nel caso di incidenti stradali o aggressioni. L’intensità della paura che proviamo in queste occasioni, in cui ci confrontiamo con l’eventualità della morte, è una prospettiva che può indurre sensazioni di impotenza fino a vero panico.

Il nostro cervello, però, è sensibile anche a minacce correlate a pericoli che non hanno a che fare con la nostra sicurezza fisica. In questo caso si tratta di minacce “sociali”, ovvero correlate a quello che gli altri pensano di noi e che noi pensiamo di noi stessi. In altre parole, dopo aver subìto un trauma, sono in gioco non solo la nostra sopravvivenza fisica (minaccia fisica), ma anche il modo di vedere noi stessi secondo la nostra mente o quella degli altri (minaccia sociale).

Le minacce sociali rappresentano un pericolo psicologico per noi, per il nostro benessere mentale o emotivo. La minaccia psicologica o sociale, infatti, è altamente correlata all’esperienza della vergogna, del disgusto e dell’umiliazione. Questo vuol dire che possiamo credere erroneamente che “chi siamo” sia stato influenzato o danneggiato dalla nostra esperienza traumatica o possiamo temere, sempre erroneamente, che gli altri penseranno male di noi se sapessero cosa ci è successo o cosa abbiamo attraversato.

 

Ma perché succede tutto questo?

Per noi esseri umani è importante sperimentare il senso di accettazione e appartenenza in relazione agli altri. Già dalla preistoria, infatti, la sopravvivenza della nostra specie dipendeva dall’appartenenza al gruppo; il mondo era troppo pericoloso per permettere a un individuo di sopravvivere da solo. Per questo motivo, siamo una specie profondamente sociale, abbiamo un cervello sociale molto sviluppato e non possiamo sopravvivere bene se estrapolati da un qualsiasi contesto sociale. Siamo biologicamente programmati ad avere bisogno di sentirci valorizzati e accettati dagli altri, di sentirci parte di un gruppo.  Anche nella vita moderna, i nostri cervelli dipendono dalle relazioni che abbiamo con gli altri. Le persone e le nostre relazioni con esse toccano ogni aspetto delle nostre vite.

Sin da bambini, infatti, apprendiamo attraverso le interazioni con gli altri. Da piccoli veniamo educati in scuole in cui siamo raggruppati in classi. Lavoriamo con altre persone, socializziamo con altre persone, pratichiamo sport e hobby con altre persone. In effetti, dal giorno in cui nasciamo a quello in cui moriamo, il supporto e la gentilezza degli altri hanno un enorme impatto sulle nostre vite.

Quindi è facile intuire come una minaccia sociale comporti un senso di rifiuto da parte delle persone significative. Si potrebbe trattare della famiglia, degli amici, persino di un gruppo di persone, come colleghi di lavoro, compagni di squadra, ecc.

E’ importante, per ognuno di noi, pensare di poter essere accettato dai vari gruppi di appartenenza, come la famiglia, gli amici, la scuola, la chiesa, i compagni di squadra, i colleghi di lavoro, ecc.  Questi gruppi diventano come delle bolle protettive nelle nostre vite. Se pensiamo di essere giudicati male o persino non essere accettati, ad esempio per un trauma subìto, allora possiamo temere che ci rifiutino, che smettano di fornirci le cure e il supporto necessari, o addirittura che arrivino a maltrattarci.

 

 

Come superare la vergogna?

Cominciare a capire e valutare i nostri cervelli sociali è un passo importante per sviluppare una mente compassionevole e superare la vergogna.

In caso di flashback o ricordi che ci fanno provare vergogna, la nostra guarigione viene fortemente agevolata se siamo in grado di accedere alla nostra compassione. Tuttavia, la compassione non sgorga naturalmente in tutti noi. Questo spiega perché molti beneficiano dello sviluppo di una mente compassionevole, attraverso un allenamento a pensare e a provare gentilezza verso se stessi e la propria esperienza traumatica, anche grazie a corsi di MBSR (Mindfulness-Based Stress Reduction).

Riferimenti

  • Lee, D. (2012). Recovering from Trauma using Compassion Focused Therapy. London: Robinson
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