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Intervista a Camilla Vivian madre del progetto “Mio figlio in rosa”

di Federica Rondino

Sembra che l’essere umano abbia un estremo bisogno di incasellare tutto e tutti all’interno di parametri pre-confezionati. Quando questo non è possibile, possono aversi diverse risposte sintetizzabili, in maniera semplicistica, in due: da una parte vi è chi reputa che ci sia qualcosa di sbagliato nella persona non incasellabile, dall’altro invece chi abbraccia questa situazione e cerca di comprenderla (caso più raro).

Essere diversi dai parametri delle masse può essere doloroso e divenire traumatico.

In Itala le persone transgender  (termine ombrello che si riferisce a chi non si riconosce all’interno dei “normali” generi maschile e femminile vivono spesso ancora in una condizione di sofferenza ed esclusione sociale. A livello normativo siamo ancora molto indietro. Dal 1982 è reso legale l’intervento di riattribuzione chirurgica di sesso con la Legge n° 164 e due sentenze successive della Cassazione (la prima del 2015) hanno stabilito che per ottenere il cambio di genere  non è più necessario l’intervento chirurgico, ma  manca ancora una legge contro gli episodi di omotransfobia  e soprattutto vi è una mancanza di presenza istituzionale per le famiglie, di formazione, di istruzione rispetto all’immenso mondo del genere.

Per approfondire l’argomento, abbiamo intervistato Camilla Vivian, fondatrice di “Il mio figlio in rosa”. La storia di questa donna, insieme alla sua forza e intelligenza è una di quelle storie da raccontare.

  • Racconti, per chi ancora non lo conosce, che cos’è “Mio figlio in rosa”?

Mio Figlio in Rosa è il nome del mio blog e del mio libro. Racconto la mia esperienza di madre di una bambina trans che fin dalla prima infanzia dimostra con coraggio e testardaggine di non sentirsi comoda in quel blu che la società le impone in base ai suoi organi genitali e non al suo sentire. Blog e libro sono due luoghi dove chi vive o ha vissuto una situazione come la mia può ritrovarsi e dove chi non l’ha vissuta può capire meglio cosa vuol dire.

  • In un’intervista narri di come all’inizio facessi l’errore di domandare a tuo figli*: “Ma tu ti senti maschio o ti senti femmina?”e di come tuo figli* rispondesse “Io mi sento io”: cosa provavi in quel momento, cosa hai capito?

E’ vero. Glielo domandavo spesso. E mi guardava con stupore, quasi proprio non capisse la domanda. Non capiva perché ci fosse questa estrema necessità di essere l’uno e l’altro o qualcosa di particolare. Finalmente un giorno ho capito che ero io che avevo bisogno di una risposta per poter incasellare e quindi capire. Al tempo la mia idea era che se non si è maschi si è femmine e se non si è femmine si è maschi. Oggi so che non è così. Oggi so che si è e basta.

  • Sei diventata un punto di riferimento per le famiglie che vivono un’esperienza simile alla tua. Che cosa hai visto? Come si pongono i genitori di fronte a un figlio/a che non si riconosce nella definizione di genere “comunemente accettata”?

Ho cercato di fare un lavoro che non fosse di autocelebrazione, ma di informazione. Attraverso il racconto  delle mie esperienze quotidiane, la traduzione di articoli che avevo trovato utili e l’esposizione di me stessa con nome, cognome e faccia, ho sperato di riuscire a creare un rapporto di fiducia con “l’altro”, ma soprattutto con le famiglie che vivevano la mia stessa esperienza nell’ombra e senza aiuti. E infatti piano piano le famiglie mi hanno iniziato a contattare. Le famiglie ci sono e la situazione non è affatto semplice. La cosa che salta immediatamente agli occhi non è tanto la paura e l’inadeguatezza dei genitori, quanto la mancanza di presenza istituzionale, di formazione, di istruzione. E’ questo che fa paura e rende il nostro un percorso difficile.

  • Se non sbaglio, passi molto tempo in Spagna: trovi delle differenze nel modo di affrontare le tante sfumature di genere?

Le differenze ci sono e sono enormi e non solo tra Italia e Spagna, ma tra Italia e la maggior parte dei paesi occidentali. L’Italia è il fanalino di coda per quanto riguarda la realtà trans, figuriamoci l’infanzia trans! Proprio ieri per esempio è stata approvata nella Comunità Valenciana la legge per l’uguaglianza delle persone lgbti+. Questa legge include tutti gli aspetti riguardanti le persone intersessuali, i diritti dei minori, sanzioni (anni di galera) per qualunque tipo di discriminazione e violenza, rende obbligatoria la formazione  in ambito sanitario, scolastico, sportivo; obbliga le amministrazioni pubbliche a proteggere e includere tutte le persone lgbti sempre e comunque.

Non è che tra Italia e Spagna esistono delle differenze nell’affrontare le sfumature del genere. Direi che in Spagna esiste la legge e il rispetto. In Italia no.

 

  • Tuo figli* si pone in maniera differente a scuola e a casa!? Se si ci puoi raccontare.

 

La verità è che mi* figli* non cambia mai. E’ il contesto che cambia. Sono gli altri che agiscono diversamente a seconda di come lo/la percepiscono o conoscono. Mi* figli* sembra una femmina al cento per cento, quindi se esce come femmina nessuno si sente in diritto o dovere di dire nulla. Perchè rientra nella norma. Se invece esce come maschio no. E sia chiaro mi* figli* è sempre uguale. Quando dico ‘esce come maschio o come femmina’ non intendo che cambia vestiti o modo di porsi. Ma l’unica cosa che cambia è la declinazione degli aggettivi e i pronomi. Quindi se questi corrispondono all’aspettativa altrui avremo una giornata tranquilla. Se no….no.

  • Per un bambino/a non essere accettati per quello che si è può essere traumatico. Cosa consigli alle famiglie che si trovano spaesate perché in una situazione non convenzionale?

Io consiglio sempre di stare sereni e non nascondersi. Consiglio di formarsi sull’argomento. Dobbiamo arrivare là dove lo stato non arriva. Dobbiamo crearci una competenza. Avere degli alleati nelle leggi internazionali, nelle linee guida dell’organizzazione mondiale della sanità. Le famiglie devono tenere sempre bene a mente che accogliere e accompagnare i propri figli è ciò che va fatto, è ciò che è giusto e che è la società che va cambiata.  So che non dovrebbe essere una cosa che spetta a noi, ma purtroppo dobbiamo venire a patti con la realtà. Una volta che saremo un discreto numero e non solo alcuni attivisti e/o professionista sparsi qua e là non potranno più negare la nostra esistenza.

  • Dai video che pubblichi tuo figlio appare molto sereno, come si raggiunge questa serenità?

A me pare un* bambin* che ha avuto una vita come tutti gli altri. Del resto gli studi che sta compiendo Kristina Olson a Seattle sull’infanzia trans prendendo a campione decine di bambini che hanno potuto fin da subito vivere nel genere che era loro più comodo, dimostrano che non vi è alcuna differenza tra un bambino cis  e un bambino trans se lasciato vivere in pace la sua infanzia.

  • Hai trovato più “cattiveria” e paura tra I bambini o tra gli adulti nel confrontarsi con una situazione non convenzionale?

 

I bambini sono interessati a giocare e non a giudicare. Io ho subito molto più bullismo di mi* figli* da parte di amici, conoscenti, passanti. Però quello che ho sempre riscontrato è che parlare e essere chiari ha sempre aiutato gli altri a capire e annullato il gossip cattivo. Poi al mondo le persone cattive ci sono sempre e ce ne sono molte. Ma quello non è un problema di transfobia, ma di deficienza di mezzi intellettivi. Certe persone se non fossi trans ti attaccherebbero perchè sei alto o basso o di pelle scura o capelli rossi. Sicuramente la totale mancanza di corretta informazione sulla realtà trans la pone in una posizione molto delicata e pericolosa. Ed è per questo che bisogna farla conoscere.

  • Cosa credi si può fare affinché il mondo dell’identità di genere con tutte le sue sfaccettature non venga più considerato diabolico?

Diabolico? La maggior parte delle persone trans si fa ampiamente i fatti propri a casa propria, non vedo  cosa ci possa essere di diabolico. Diabolico sarà entrare a gamba tesa nelle vite altrui forti di non si sa quale convinzione o teoria.  Diabolico sarà non rispettare il prossimo: privarlo della vita, violentarlo, picchiarlo. Iniziamo a puntare i riflettori sulle persone giuste.

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