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Narrare il trauma per lasciarlo nel passato

IL VASO DI PANDORA·GIOVEDÌ 24 NOVEMBRE 2016

 

di Federica Rondino

La Dott.ssa Cristina Marzano è una psicoterapeuta esperta in disturbi post traumatici. Con lei abbiamo parlato dell’importanza della narrazione in un percorso di psicoterapia e del valore del gruppo per ritrovare una validazione sociale.

Dott.ssa Marzano ci può spiegare l’importanza della narrazione in chi ha subito un trauma? Quando c’è un evento traumatico la mente indietreggia difronte a quel ricordo, la memoria diventa frammentaria perché ricordare è troppo doloroso. Malgrado l’evento venga bandito, però, la sua memoria, in qualche modo, rimane nel cervello. Il ricordo spesso ricompare sotto forma di flashback o incubi. In quei momenti la persona sente di vivere nuovamente nel presente il trauma. Ed è qui che assume importanza la narrazione. Raccontare l’evento come una storia che ha un inizio, un centro e una fine permette di elaborarlo e di collocarlo nel passato. Cosa che per una persona vittima di un trauma è molo difficile perché tende a viverlo nel presente, come se si stesse ripresentando nel “qui e ora”.

Quindi attraverso la narrazione il paziente può riuscire a collocare l’evento traumatico nel passato. Ma cosa avviene quando la persona non ha un ricordo chiaro dell’evento? Le persone possono non ricordare l’evento, ma avere delle sensazioni che si attivano soprattutto quando esposte a trigger associati all’esperienza traumatica. Ci sono dei pazienti che hanno solo la “sensazione” che sia successo qualcosa di terribile nella loro vita. Per esempio, un paziente può venire in terapia per una paura intensa e soverchiante che si attiva in lui durante la giornata, magari dopo aver sentito un odore particolare o essere stato in un posto specifico, rimanendo con la sensazione che qualcosa di terribile stesse per accadere. Ma il paziente non sa perché capiti questo: è tutto confuso, ha solo la sensazione che tutto ciò sia collegato a un evento traumatico. In questo caso il terapeuta deve considerare l’essenza del trauma, non deve cercare a tutti i costi di far emergere un ricordo. Le emozioni, le sensazioni e i pensieri del paziente sono gli elementi importanti. È necessario capire come cambia la vita della persona nel momento in cui emerge il dubbio che qualcosa di terribile sia avvenuto nella sua vita.

Da cosa dipende la diversa reazione a un trauma? Ogni survivor è diverso e ha una storia differente. Ci sono persone che non hanno rielaborato il ricordo e questo esiste solo nel momento della riattivazione, mentre altre vivono quotidianamente con la sua memoria. Per esempio, molti pazienti che hanno subito abusi infantili da parte di un caregiver, riferiscono di pensare sempre all’esperienza traumatica perché temono che se dimenticassero ciò che è accaduto (abbassando la guardia) potrebbe riaccadere. Molto dipende da come si sono percepite le persone nel momento dell’abuso, se hanno sentito di avere a disposizione delle risorse (come qualcuno vicino) o se si sono sentite prive. Per esempio ci sono delle persone che quando hanno vissuto l’evento traumatico, hanno sentito di avere delle grandi risorse, che c’era qualcuno al loro fianco e che non erano sole. Per questo persone, l’evento traumatico rimane un’esperienza terribile ma hanno “imparato” che è possibile fronteggiarlo e che da lì possono ripartire.

Qual è l’obiettivo principale di una terapia a un paziente con disturbo post-traumatico? L’obiettivo è ricreare il senso di sicurezza, ricostruire la sua storia, la narrazione e ricomporre i legami. Per questo è di enorme importanza nella terapia un forum come quello di Il Vaso di Pandora. Permette di capire che non si è soli, non si è gli unici ad aver sofferto, e questo riduce il senso di vergogna, il senso di colpa, diminuisce l’isolamento perché aumenta il senso di appartenenza. Inoltre gli altri conoscono la tua storia e ti accettano, ti incoraggiano e ti permettono di ricreare dei legami.

Lei dirige gruppi di DBT. Ci può spiegare che cos’è? La DBT è un intervento terapeutico ideato negli anni ‘80 per opera di Marsha M. Linehan inizialmente usato per il disturbo borderline, ma che si è presto rivelato utile nella terapia di persone con disregolazione emotiva. Per quanto riguarda l’intervento sui survivor, la DBT e in particolar modo lo SKILLS TRAINING DBT, è molto efficace perché insegna delle abilità orientate sia all’accettazione che al cambiamento. È composta da quattro moduli di abilità: la Mindfulness(bit.ly/mindfulness_a), la tolleranza alla sofferenza, la regolazione emotiva e l’efficacia interpersonale. Solo per fare alcuni esempi: ci sono strategie che insegnano a cambiare la chimica del proprio corpo quando si sta vivendo una crisi emotiva, altre che aiutano a non seguire la spinta dell’emozione quando farlo non sarebbe efficace per il raggiungimento dei propri obiettivi; ci sono strategie che insegnano a osservare e ad accettare quello che c’è (pensieri, emozioni, sensazioni fisiche) in maniera non giudicante e altre che aiutano a comunicare ed esprimere ciò che si desidera agli altri.

Che ruolo ha il gruppo in un intervento con DBT? I survivor nel gruppo di SKILLS TRAINING trovano condivisione, accettazione e validazione. Anche quando il trauma non viene dichiarato, cadono le barriere dell’isolamento. Per questi motivi, tra le varie attività di supporto che stiamo organizzando, vi è un gruppo di SKILLS TRAINING dedicato a persone vittime di violenza sessuale, fisica o/e emotiva.

 

 

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