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Un uomo mi ha stuprata

D56H22 Paper doll graffiti in a public street - Rome

Abbiamo deciso di tradurre uno stralcio del libro Telling di Patricia Weaver Francisco (1999, pp-14-15) perché foriero di spunti di riflessione:

 

Sto imparando a non dire sono stata stuprata ma un uomo mi ha stuprata. Grammaticalmente c’è una differenza tra la voce passiva e attiva. Come spesso dico ai miei studenti a cui insegno come scrivere, la voce attiva viene preferita a meno che si stia cercando di nascondere la responsabilità.

A prescindere da questa sensibilità semantica, la parola vittima ha attraversato tempi duri. Adesso è fonte di vergogna in alcuni ambiti descrivere la propria vita in termini di qualcosa che è fuori dal proprio controllo. Una vittima non è un ruolo buono o potente da incarnare, e survivor è attualmente il termine che viene preferito. Usare questa alternativa è possibile, certamente, solo se in effetti si è sopravvissuti. Ci sono troppe vittime di violenza sessuale o domestica che non sarebbero aiutate se venissero chiamate in modo diverso. Sono state, infatti, letteralmente uccise. Sono vittime di omicidio. Abbiamo dunque bisogno di una parola che descriva questa situazione.

Una volta che abbandoniamo l’ambito della sopravvivenza fisica, non ci sono definizioni semplici. Tutto dipende da come si sceglie di raccontare la propria storia.

Quello che manca come qualificatore nell’uso della parola survivor è l’aspetto fisico. In realtà, il mio corpo fisico è sopravvissuto, ma per molto tempo mi sono sentita una donna in lutto. La morte spirituale, sessuale ed emotiva è meno visibile rispetto alla morte del corpo ma non necessariamente irrevocabile.

Non sono più interessata alla morte inerente lo stupro, ma mi interessa la morte dello stupro.”

Riferimenti

  • Weaver Francisco, P. (1999). Telling. A memoir of rape and recovery. Harper Perennial
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