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Violenza e minori. Le leggi ci sono, la difficoltà sta nell’attuarle.

Quello che spesso manca è la denuncia. Ci spiega Antonella Succi, avvocato e componente del consiglio direttivo di Telefono Azzurro. E’ un problema culturale che coinvolge parimenti famiglia, scuola, operatori.

di Paola Di Lazzaro

Il Telefono Azzurro è una Onlus che nasce sul finire degli anni 80, precisamente nel 1987, per volontà e intuizione del professor Ernesto Caffo, esperto e docente di neuropsichiatria infantile all’Università di Modena e Reggio Emilia. L’obbiettivo della associazione è sempre stato quello di fornire supporto alle richieste di aiuto da parte di bambini ed adolescenti vittime di violenza e maltrattamenti attraverso un servizio di ascolto attivo tutti i giorni e raggiungibile al numero 1.96.96. o, di recente, anche sulla chat di www.azzurro.it e sul 114. Cosa è cambiato dopo quasi trent’anni in Italia, i bambini di oggi sono gli stessi di un mondo in cui non esistevano internet e smartphone, ma soprattutto sono stati fatti passi avanti o indietro rispetto alla tutela dei minori? Per capirlo abbiamo intervistato l’avvocato Antonella Succi, componente del consiglio direttivo e dell’assemblea dei soci di Telefono Azzurro. Avvocato, che tipo di richieste arrivano a Telefono Azzurro, oggi rispetto a trent’anni fa? Arrivano richieste variegate, ed è sempre stato così. I bambini e gli adolescenti hanno bisogno di ascolto che spesso non trovano né a scuola né in famiglia. Chiamano perché si sentono esclusi, perché hanno paura di essere bocciati, per un’amica che potrebbe essere rimasta incinta e non sanno a chi rivolgersi, ma chiamano anche per violenze e maltrattamenti temuti e subiti. Negli ultimi anni sicuramente sono sempre più frequenti le segnalazioni di molestie, attraverso internet, sulle chat, sui social network. Iniziano a chiamare anche ragazzini figli di stranieri, che si sentono isolati e discriminati. In tutti questi casi noi possiamo offrire da subito grazie agli operatori del servizio, psicologi, psicoterapeuti e volontari opportunamente istruiti, un supporto professionale. Nei casi di denunce per abusi e violenze procediamo immediatamente a segnalare la vicenda alle istituzioni.

Bullismo, cyberbullismo, adescamento online, quando si parla di prevenzione sui minori questi temi hanno un ampio spazio nella stampa ma anche nei percorsi formativi promossi a scuola, altrettanto non accade per gli abusi, specie per gli abusi intrafamiliari, che restano la prima forma di violenza minorile. Come mai secondo lei in Italia non si è avviato un dibattito serio sul tema delle violenze in famiglia ? Guardi da un punto di vista normativo l’Italia, oltre alla Costituzione e ad altre leggi interne che tutelano i minori, ha accolto e reso esecutive anche le Convenzioni Internazionali in materia di protezione dell’infanzia. Pertanto, non ritengo che difettino gli strumenti di tutela giurisdizionale. Quello che manca, o è quantomeno difficile ottenere, è la denuncia. E’ un problema culturale che coinvolge parimenti famiglia, scuola, operatori che, per paura o mancata cognizione delle procedure, impedisce la conoscenza alle autorità dei casi di violenza.

Denunciare però, a leggere dalle cronache, spesso non basta visto la frequenza di pene non comminate, o casi di persone recidive e a piede libero. Ribadisco le leggi ci sono, la difficoltà sta nella loro attuazione. Esistono provvedimenti molto efficaci, come gli ordini di protezione e financo le sentenze che, nonostante emesse, sovente restano mere enunziazioni, di fatto inattuabili.

Cosa possono fare, invece, le persone che vogliono denunciare un abuso anche a distanza di anni? La denuncia può sempre essere effettuata, salvo valutare caso per caso la opportunità di farlo. Se non c’è stata prescrizione del reato, se il soggetto denunciato è ancora in vita o raggiungibile, se è possibile dimostrare il reato, ma soprattutto se la persona offesa, dopo molti anni, abbia o meno il coraggio di ripercorrere esperienze dolorose che ha con enorme fatica negli anni superato al fine di ritrovare il proprio equilibrio.

Che è un po’ quello che fa il Vaso di Pandora, offrendo una rete di auto aiuto alle persone che nella loro vita hanno subito violenza e che decidono di non nasconderla più. Ho seguito sin dall’inizio il progetto del Vaso di Pandora e non solo lo vedo come complementare al lavoro che facciamo noi avvocati specialisti nella materia della tutela dei minori, ma auspico un futuro in comune anche con altre associazioni, e Telefono Azzurro in particolare. Sarebbe la somma di competenze e professionalità, patrimonio significativo per la tutela dei diritti dei minori.

 

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