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Depressione maggiore e abuso sessuale infantile

La depressione maggiore è un disturbo dell’umore che si sviluppa molto frequentemente nelle persone che hanno subìto un abuso sessuale infantile e ciò determina, in età adulta, la diminuzione di interesse e piacere nelle attività quotidiane, modificazioni importanti nell’umore e nel peso corporeo, fatica, perdita di concentrazione e, in casi gravi, ideazione e comportamenti suicidari. Nei sopravvissuti a un evento traumatico si riscontrano spesso importanti deterioramenti nel funzionamento sociale e lavorativo in quanto le persone tendono a valutare se stesse in maniera negativa, innescando giudizi di inadeguatezza e indesiderabilità che determinano sentimenti di insoddisfazione e infelicità. L’ambiente e le relazioni interpersonali diventano pertanto fonti di sofferenza e frustrazione, alimentando, in un circolo vizioso, i pensieri di fallimento e insuccesso.

Lo studio di Perez-Fuentes e collaboratori (2013) ha esaminato un campione costituito da più di 34.000 adulti riscontrando che le vittime di abuso sessuale infantile (pari al 10.14%, di cui il 75.2% donne) presentavano alto rischio di suicidio ed elevati livelli di depressione maggiore. Il report della World Health Organization pubblicato nel 2007 ha rilevato che l’incidenza della depressione maggiore nei sopravvissuti ad abusi sessuali infantili è pari al 6%.

Persone con storie traumatiche durante l’infanzia hanno mostrato una precoce insorgenza dei sintomi, una maggiore durata degli episodi depressivi, un andamento cronico del disturbo e minori tassi di remissione.

L’abuso sessuale durante l’infanzia, quindi, costituisce un importante fattore di rischio per lo sviluppo della depressione in età adulta, non solo per l’insorgenza di un singolo episodio depressivo ma anche per la ricorrenza del disturbo (Vitriol et al., 2014).

Risulta, dunque, essenziale esaminare la relazione che intercorre tra l’abuso sessuale dei minori e la depressione da un punto di vista evolutivo. In un recente lavoro di ricerca (Dongdong L. et al., 2020) sono state condotte due metanalisi per esaminare la relazione tra abuso sessuale infantile e depressione relativamente all’età di insorgenza. Gli autori hanno cercato articoli sull’argomento in database inglesi e cinesi. Il risultato della prima analisi ha mostrato che le esperienze di abuso sessuale infantile erano correlate a insorgenza precoce di depressione in pazienti adulti depressi.
Una seconda analisi ha mostrato, invece, che l’abuso sessuale in giovane età era significativamente correlato a un rischio più elevato di sviluppare depressione solo negli studi con campioni femminili.
Sulla base di una recente metanalisi con 217 pubblicazioni a livello globale, è possibile osservare come circa il 18% delle donne e il 7,6% degli uomini siano stati vittime di abusi sessuali da bambini (Stoltenborgh et al., 2011). In una serie di review sull’argomento (Maniglio, 2013) si è concluso che i sopravvissuti ad abuso sessuale infantile tendono ad avere più comportamenti problema nella sfera sessuale, nonché una serie di ripercussioni negative sulla salute fisica e mentale, che potrebbero essere debilitanti sul lungo termine. Comprendere, prevenire e migliorare le conseguenze dell’abuso sessuale sono, quindi, priorità urgenti per ricercatori e clinici di tutto il mondo.
Tra tutti gli esiti negativi dell’abuso sessuale infantile, la depressione è considerata il disturbo psichiatrico più comune e compromettente (Kessler et al., 2005). Gli studi hanno dimostrato che un’età d’esordio precoce di problemi internalizzanti ed esternalizzanti è generalmente associata a risultati peggiori per decorso del disturbo, recidiva e resistenza al trattamento (Jaffee et al., 2002). Ad esempio, l’insorgenza precoce della depressione è correlata a una maggiore probabilità di tentativi di suicidio e a maggiori diagnosi in comorbidità (Fernando et al., 2011). Una migliore comprensione di come l’evoluzione del disturbo depressivo dipenda dallo stadio di sviluppo durante il quale si verifica l’abuso sessuale può essere utile nella messa a punto di trattamenti adeguati per le persone che ne sono vittime. Diversi sono i fattori che devono essere presi in considerazione mentre si studia la relazione tra abuso sessuale e depressione in termini di età all’esordio. La ricerca, infatti, ha mostrato solidi effetti di genere ed età come fattori di rischio sia per l’abuso sessuale che per depressione. I tassi di depressione sono relativamente uguali tra ragazzi e ragazze durante l’infanzia, ma la percentuale di ragazze con depressione aumenta drammaticamente dopo la pubertà e la differenza di genere permane durante l’età adulta (Hankin e Abramson, 2001; Hyde et al., 2008). È interessante notare che gli studi mostrano anche un significativo effetto di genere in quanto le ragazze hanno maggiori probabilità di subire abusi sessuali rispetto ai ragazzi (Stoltenborgh et al., 2011) e le ragazze con esperienza di abuso sessuale hanno maggiori probabilità di avere un inizio precoce della pubertà (Mendle et al., 2011).
Lo scopo dello studio di Dongdong e collaboratori (2020) è stato, quindi, quello di condurre una metanalisi di questa letteratura. In particolare, gli autori hanno esaminato il ruolo dell’età d’esordio in due modi: (1) in che modo l’abuso sessuale è correlato all’età d’esordio della depressione; e (2) come l’età dell’abuso è correlata alla depressione. L’identificazione di eventuali traiettorie specifiche per età consentirebbe la formulazione di obiettivi adeguati all’età per il trattamento delle vittime di abuso sessuale infantile, massimizzando così la possibilità di arrestare traiettorie dello sviluppo negative e stabilirne di positive al loro posto.
Il campione finale era composto da 35 articoli e sono state condotte due metanalisi separate per rispondere alle due domande di ricerca.
I risultati della prima analisi dimostrano che i pazienti abusati sessualmente da bambini hanno sviluppato depressione circa 6,5 anni prima di quelli che non avevano una storia di abuso e che l’abuso sessuale in giovane età era correlato a livelli più elevati di depressione.
La prima meta-analisi, con 8652 partecipanti depressi, ha mostrato che le esperienze di CSA erano significativamente correlate all’insorgenza precoce della depressione, mentre la seconda meta-analisi con 3340 vittime di abuso ha mostrato risultati incoerenti. Gli autori ritengono che l’utilizzo di una semplice classificazione categoriale infanzia-adolescenza per studiare gli effetti dell’età in cui si è subito l’abuso non sia raccomandabile.
In conclusione, i risultati ottenuti suggeriscono che l’abuso è significativamente correlato a un’insorgenza precoce dei sintomi depressivi e che la relazione tra età dell’abuso e depressione si riscontra in modo più coerente solo negli studi con donne adulte. Gli autori raccomandano programmi di prevenzione e trattamenti specifici per le vittime di abuso sessuale infantile. Tuttavia, in base ai dati attualmente disponibili, è prematuro raccomandare trattamenti differenziati per le vittime che subiscono abuso in diversi periodi di sviluppo. Sono necessari studi futuri per esaminare ulteriormente la relazione tra abuso sessuale in diversi periodi di sviluppo e depressione.

I risultati di questo recente studio sembrano suggerire che:

• lo screening delle esperienze di maltrattamento sui minori dovrebbe essere effettuato regolarmente per il trattamento della depressione;
• è raccomandabile un trattamento preventivo per le giovani vittime di abuso sessuale anche se non presentano sintomi depressivi;
• i clinici che lavorano con bambini vittime di abusi sessuali dovrebbero prendere in considerazione un trattamento specifico per l’abuso per ridurre l’effetto negativo dell’insorgenza precoce della depressione.

Predisposizione genetica alla depressione e l’impatto di esperienze traumatiche precoci

Esiste una forte relazione tra la predisposizione genetica alla depressione e l’impatto di esperienze traumatiche precoci nelle fasi critiche dello sviluppo. L’associazione tra il trauma e la depressione è mediata, infatti, da meccanismi genetici e neurobiologici attivati in risposta all’evento stressante. Questi ultimi sono: la sensibilizzazione neuroendocrina dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (il principale effettore della risposta allo stress), l’iper-secrezione del fattore di rilascio per la corticotropina (che consente la produzione del cortisolo, definito “l’ormone dello stress”) e la riduzione del volume dell’ippocampo (area deputata alla memoria). Questi effetti risultano direttamente collegati a numerose alterazioni neuroendocrine e neurofisiologiche caratterizzanti la depressione maggiore. Il trauma infantile rappresenta, dal punto di vista neurobiologico, un potente fattore di rischio per lo sviluppo della depressione in età adulta, stante le modificazioni nel circuito neurale implicato nella regolazione autonomica, neuroendocrina ed emotiva che si verificano per “neutralizzare” e rispondere al trauma (Heim et al., 2008).

Da un punto di vista cognitivo, l’abuso sessuale nel bambino causa una serie di distorsioni nei pensieri e nelle interpretazioni su di sé, gli altri e il mondo. Tali distorsioni rappresentano delle iniziali risposte adattive, cioè un tentativo di dare senso a ciò che accade e al mondo che lo circonda, e sono finalizzate, dunque, a trovare e mantenere un senso di ordine e controllo. In età adulta, tuttavia, queste credenze interiorizzate diventano distruttive e disfunzionali, ostacolando e impedendo l’instaurarsi di rapporti sani con sé, gli altri e l’ambiente.

Depressione maggiore e PTSD

La depressione maggiore dopo il trauma si presenta spesso in comorbilità con il PTSD, tanto che molti autori hanno concettualizzato i due disturbi in un unico costrutto di sintomatologia conseguente lo stress traumatico. Inoltre, la ruminazione e i livelli di stress auto-percepito rappresentano sia per la depressione maggiore che per il PTSD degli importanti fattori di mantenimento (Hu et al., 2013). I due disturbi, infine, si presentano spesso associati a sintomi dissociativi, causati dall’incapacità di integrare ed elaborare pienamente l’esperienza traumatica.

Trattamenti

Uno dei trattamenti d’elezione, evidence-based, per il trattamento della depressione maggiore, è la Terapia Cognitivo Comportamentale (TCC).
Il protocollo terapeutico della TCC per la depressione prevede l’utilizzo sia di tecniche cognitive che comportamentali. Le due tipologie di tecniche vengono utilizzate in momenti differenti della terapia con il paziente depresso. Le tecniche comportamentali vengono introdotte nella prima fase di trattamento con lo scopo di favorire la riattivazione comportamentale, favorendo in tal modo esperienze soddisfacenti che fungono da rinforzo positivo e determinano un innalzamento del tono dell’umore. In una fase successiva del trattamento, quando il paziente inizia ad impegnarsi in attività costruttive e finalizzate, si può riscontrare un miglioramento dell’umore e una modificazione delle convinzioni negative sulle proprie capacità e possibilità di cambiamento. A questo punto è possibile cominciare un lavoro più diretto sulle componenti cognitive del disturbo. Le tecniche cognitive mirano a evidenziare e invalidare le specifiche convinzioni distorte attraverso uno specifico procedimento. Inizialmente il lavoro cognitivo si concentra sui livelli più superficiali della struttura cognitiva così come viene descritta nel modello cognitivo standard: i pensieri automatici negativi e poi le credenze intermedie. Nella seconda fase della terapia, terapeuta e paziente arriveranno a lavorare al livello più profondo dei core beliefs.
Il protocollo di TCC prevede una fase di assessment che ha come obiettivi principali la definizione di una diagnosi e la formulazione di una concettualizzazione del caso da un punto di vista cognitivo-comportamentale. Le strategie utilizzate durante il trattamento comprendono: 1) la formulazione condivisa con il paziente e la comprensione del problema nel contesto dell’empirismo collaborativo; 2) insegnare al paziente l’autosservazione e il riconoscimento del legame tra pensieri, emozioni e comportamento; 3) la normalizzazione dei sintomi (attraverso la psicoeducazione al disturbo); 4) interruzione dei circoli viziosi che mantengono il disturbo; 5) modificazione degli schemi depressogeni.

La Terapia Metacognitiva (Metacognitive Therapy o MCT) è una forma di psicoterapia basata sulle teorie introdotte da Adrian Wells e Gerald Matthews (1994).

La MCT aiuta i pazienti a regolare il proprio modo di pensare e a sviluppare nuovi modi di reagire ai pensieri negativi. Gli obiettivi principali di questa forma di terapia sono: 1) aumento della consapevolezza su come usiamo la nostra mente; 2) riduzione del rimuginio/ruminazione; 3) miglioramento del controllo della propria mente. Un principio base della MCT è che i disturbi psicologici siano legati all’attivazione di un particolare stile di pensiero disfunzionale, chiamato CAS: ogni persona affronta dei periodi passeggeri permeati da emozioni e valutazioni negative, la CAS fa sì che le persone restino “incastrate”, nella spirale di quei periodi, in modo stabile e ripetitivo (Wells A., 2008). Nel caso della depressione il focus del trattamento è il processo ruminativo e gli obiettivi principali sono: l’interruzione degli stili ripetitivi di pensiero; la modificazione delle credenze metacognitive disadattive e aiutare il paziente a sviluppare maggiore flessibilità nell’elaborazione cognitiva.

Il protocollo MBCT (Mindfulness-Based Cognitive Therapy) è un intervento efficace rivolto alla prevenzione delle ricadute nella depressione, stante la cronicità del disturbo. La MBCT riduce la ruminazione, l’evitamento e aumenta il controllo esecutivo.

Un indicatore cognitivo della depressione clinica è la ridotta capacità di recuperare ricordi autobiografici specifici, fenomeno denominato iper-generalità della memoria (OGM – Overgeneral Memory). La OGM è una variabile che si è mostrata particolarmente influenzata dal trauma. Dal momento che la MBCT ha effetti positivi sull’OGM, è stato suggerito che tale protocollo possa ridurre in maniera significativa la vulnerabilità di tratto alla depressione maggiore nelle persone che hanno subìto un trauma infantile.
La patologia depressiva è caratterizzata da temi di colpa, indegnità e rovina, e le idee di morte sono intrinseche alla patologia stessa. Tali idee di morte possono essere più o meno gravi partendo dalla sensazione che la vita non valga la pena di essere vissuta, disinteresse per la vita e desiderio di morire, fino al gesto suicidario vero e proprio. Risulta, infatti, di fondamentale importanza la valutazione del rischio suicidario nel trattamento della depressione.

Esistono numerosi fattori di rischio per il suicidio, ovvero una serie di caratteristiche che aumentano la probabilità che esso si verifichi. Tuttavia, questi fattori si riscontrano anche in individui che non sono a rischio suicidario, e viceversa, esistono individui che manifestano crisi suicidarie pur non presentando fattori di rischio. I fattori di rischio hanno in ogni caso un ruolo rilevante nel definire le condizioni più tipicamente associate al rischio di suicidio (Pompili, 2013).

Tali fattori possono essere suddivisi in:

fattori biopsicosociali: disturbi psichiatrici; patologie mediche gravi; dipendenza da alcol e altre sostanze; hopelessness; tendenze impulsive e/o aggressive; storia personale di trauma e abuso; precedenti tentativi di suicidio e storia familiare di suicidio;

fattori ambientali: perdita del lavoro o finanziaria; problemi relazionali o sociali; facile accesso alle armi; fenomeni di emulazione;

fattori socioculturali: mancanza di supporto sociale e isolamento; stigma associato al fatto di aver bisogno di aiuto; ostacoli ad accedere alle cure mediche e per la salute mentale; credenze culturali e religiose; esposizione ad atti di suicidio attraverso i mass media.

Accanto ai fattori di rischio e, non meno importanti, ci sono i fattori protettivi per il suicidio, ossia quelle caratteristiche e condizioni che aiutano a continuare a sperare nel futuro e ad avere fiducia nelle relazioni. Esempi di fattori protettivi sono: avere a disposizione una rete di sostegno sociale e una famiglia con cui si è in buone relazioni, possedere efficaci strategie di coping e problem solving. Secondo alcuni studi anche la presenza di bambini in casa e la fede religiosa riducono il rischio di suicidio. Altri elementi protettivi possono considerarsi la gravidanza (quando esente da complicanze e conflitti), la soddisfazione nella vita, la paura della disapprovazione sociale e la limitata disponibilità di metodi letali (Pompili, 2013). Non meno importante sembra essere il ruolo del matrimonio: in una ricerca sulla popolazione italiana è emerso che vedovi, separati/divorziati e single sono a maggior rischio di suicidio rispetto a coloro che nei registri ufficiali risultano coniugati (Masocco et al., 2008).

Riferimenti

  • Beck A.T., Rush A.J., Emery G. (1979)Terapia cognitiva della depressione. Ed. italiana Bollati Boringhieri (1987).
  • Dongdong Li, Chi Meng Chu & Violet Lai (2020). A Developmental Perspective on the Relationship between Child Sexual Abuse and Depression: A Systematic and Meta-Analytic Review. Child Abuse Review Vol. 29: 27 – 47. Published online in Wiley Online Library
    (wileyonlinelibrary.com) DOI: 10.1002/car.2592.
  • Heim, C., Newport, D.J., Mletzko, T., Miller A.H. & Nemeroff, C.B. (2008). The link between childhood trauma and depression: Insights from HPA axis studies in humans. Psychoneuroendocrinology, 33(6): 693-710.
  • Hu, E., Koucky, E.M., Brown, W.J., Bruce, S.E. & Sheline, Y.I. (2013). The Role of Rumination in Elevating Perceived Stress in Posttraumatic Stress Disorder. Journal of Interpersonal Violence, 29(10): 1953-1962.
  • Pérez-Fuentesa, G., Olfsona, M., Villegasa, L., Morcilloa, C., Wanga, S. & Blancoa, C. (2013). Prevalence and correlates of child sexual abuse: a national study. Comprehensive Psychiatry, 54: 16-27.
  • Kanter J.W., Busch A.M., Rusch L.C. (2009). La Behavioral Activation. Caratteristiche distintive. Edizione italiana a cura di Maria Cristina Filograno. Franco Angeli Editori (2012).
  • Masocco M., Pompili M., Vichi M. et al. (2008). Suicide and marital status in Italy. The Psychiatric Quarterly, 79, pp.275-285.
  • Pompili M. (2013). La prevenzione del suicidio. Società Editrice Il Mulino, Bologna.
  • Vitriol, V., Cancino, A., Weil, K., Salgado, C., Asenjo, M.A. & Potthoff, S. (2014). Depression and Psychological Trauma: An Overview Integrating Current Research and Specific Evidence of Studies in the Treatment of Depression in Public Mental Health Services in Chile. Depression Research and Treatment. ID: 608671.
  • Wells A. (2009). Metacognitive therapy for anxiety and depression. The Guilford Press, New York. Trad. it.: Terapia metacognitiva dei disturbi d’ansia e della depressione. Eclipsi: Firenze, 2012
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