vai al contenuto principale

Essere maschi. Essere femmine. Contrastare la violenza e il femminicidio a partire da una nuova prospettiva dei ruoli di genere. Intervista a Stefano Ciccone.

A cura di Paola Di Lazzaro

 

Stefano Ciccone è presidente dell’Associazione e rete nazionale Maschile plurale, scrittore di numerosi libri sul ruolo di genere, identità e relazioni. Ci siamo rivolti a lui avere la sua opinione sui possibili meccanismi che all’interno dei rapporti di coppia sono alla base di violenze e abusi perpetrati dagli uomini nei confronti delle donne.

Vorrei partire con te a ragionare su un dato. Negli ultimi vent’anni gli omicidi in Italia sono diminuiti di oltre il 70% (nel 2014 sono stati 468, nel 1991 erano 1.916, fonte Viminale). I femminicidi però restano sempre perlopiù fermi. Uno ogni tre giorni. Tra i 120 e i 140 casi l’anno. Che lettura daresti di questi numeri?

Sono numeri che dimostrano quello che diciamo da anni e, cioè, che la violenza maschile verso le donne non è inseribile dentro uno schema legato alla criminalità nel suo complesso o a dinamiche che riguardano la cronaca nera,  il disagio sociale, la crescita della violenza nelle periferie o altro. La violenza commessa dagli uomini verso le donne ha una sua specificità ed è lo specchio della natura delle relazioni tra i sessi oltre che la conferma, sia pur esacerbata, di come siamo ancora immersi in una  cultura diffusa che giustifica, in modo più o meno esplicito, dinamiche di controllo, di rancore, di potere nelle relazioni.

La maggior parte di questi femminicidi così come i casi di violenza avvengono all’interno di famiglie, nelle coppie, nei gruppi di amici. Cosa ci dice questa violenza?

I media continuano a raccontare la violenza contro le donne come un fenomeno patologico dando risalto spesso e in maniera del tutto spropositata agli immigrati come ai principali autori dei crimini. In realtà, e ce lo dimostra ogni statistica, protagonisti di queste violenze sono uomini di tutti gli ambiti sociali e livelli culturali. I vicini di casa “insospettabili”, le persone “bravissime”  che condividono la nostra stessa cultura e la nostra stessa rappresentazione delle relazioni.  Se la violenza nasce nelle relazioni è proprio queste che dobbiamo andare a mettere in discussione riconoscendo la nostra complicità con un immaginario, fatto ancora, nel 2018, di maschi che devono “proteggere” e donne che devono “accogliere”, di un’idea di amore che si confonde con quella di possesso, e di una diffusa incapacità ad accettare le separazioni. In qualche modo gli uomini delle generazioni precedenti non si sono mai misurati con la donna che se ne va. Perché le donne subivano, restavano e accettavano quel destino come inevitabile. Oggi quel marito, quel compagno, si misura con una cosa che nessuno gli ha mai insegnato a superare. Si misura con la propria vulnerabilità, con la propria non autosufficienza, con una sofferenza che non sa né riconoscere né riesce a condividere.  Una sofferenza  che si trasforma in una pentola a pressione dove rimangono compresse emozioni non socialmente del tutto legittimate per un maschio  come la paura, la solitudine, la tristezza  e a cui fanno posto comportamenti illeggitimi ma “riconosciuti” come la forza, la rabbia, il desiderio violento.

Cosa vuol dire essere maschi o essere femmine oggi in Italia?

Io credo che da un certo momento in poi, diciamo pure dalla metà degli anni ‘70, ci sia stato un progressivo e radicale cambiamento nei rapporti tra uomo donna in questo paese. Il punto è che questo cambiamento è stato percepito, raccontato e vissuto come un cambiamento espansivo che produceva autonomia, libertà, diritti, opportunità, soggettività per le donne, ma nel frattempo sui media ma anche nel dibattito pubblico è stato rappresentato soprattutto come una minaccia per gli uomini. Si è parlato e si parla di crisi del maschile, si racconta di uomini intimoriti dalla intraprendenza sessuale femminile, minacciati dalla nuova autorevolezza delle donne sul lavoro, dalla nuova capacità delle donne nella formazione. Ma se questo cambiamento fosse un’opportunità anche per noi?

Anche gli uomini sono cambiati tanto nel frattempo.

In maniera radicale.  Pensiamo solo a quanto sia cambiato il rapporto con il lavoro. Per gli uomini fino a non moltissimi anni fa il lavoro era il luogo di costruzione della propria identità sociale e anche della propria identità sessuale di maschio,  di capo famiglia, di quello che è in grado di badare a se stesso e di essere autosufficiente e produttivo. Ecco, oggi, gli uomini sanno che il lavoro non può essere più il luogo di costruzione della propria identità, perché il lavoro è frammentario, precario. Nel frattempo e contestualmente si è liberato il desiderio degli uomini di avere un rapporto con i figli diverso dalle generazioni precedenti. Più fisico e basato sulla intimità e sulla tenerezza. Oppure pensiamo alla diversa cura del corpo che oggi gli uomini mettono in gioco. Ma questi cambiamenti quante volte sono bollati come “femminilizzazione” del maschio?

Perché però un uomo oggi dovrebbe stare dalla parte delle donne quando si parla di maggiore possibilità di accesso a ruoli di potere, parità di salari, eguale divisione dei compiti in famiglia, in fondo non avrebbe tutto da perdere?

Non si tratta di stare dalla parte delle donne ma di stare in un percorso che cambia la vita degli uomini e che offre a anche gli uomini cose diverse. Ad esempio a me interessa stare con una donna che stia a casa ad aspettarmi oppure mi interessa  stare con una donna  che ha una  sua autorevolezza, una sua autonomia? Questo arricchisce la mia vita o la impoverisce? Mi interessa avere una donna che passivamente è disponibile ad accettare il mio desiderio o che mette in gioco il suo desiderio?  In qualche modo generazioni precedenti di uomini hanno vissuto una sessualità in parte autistica, in cui il piacere femminile era rimosso, in cui c’era una  sessualità familiare finalizzata alla procreazione e poi c’era una sessualità maschile che poteva esprimersi solo al di là della relazione, con amanti , prostitute etc. Il fatto invece di avere l’opportunità di incontrare donne che mettono in gioco il proprio desiderio e il proprio piacere arricchisce l’esperienza sessuale degli uomini o la impoverisce? Quello che dobbiamo provare a fare è proprio proporre agli uomini l’idea che quel modello di potere gli ha anche imposto un’ansia per tutta la vita fatta di “a tre anni non piangere perché senno sei una femminuccia.” “A quattordici non devi aver paura senno sei un finocchio”, “a trenta devi cominciare a guadagnare da solo per esser autosufficiente” , “nel sesso devi pensare alla performance e alla prestazione” etc. etc.  Queste domande hanno garantito, certo, un ruolo di potere ma hanno anche ingabbiato la vita degli uomini. Oggi non si tratta di rinunciare  a dalle opportunità per  concedere delle cose alle donne ma capire  invece se ci sono delle cose che non ci siamo mai concessi e dobbiamo conquistarci come uomini.

 

Casi come quelli di Weinstein e Asia Argento stanno facendo emergere sentimenti molto contrastanti anche all’interno dello stesso mondo femminile sul concetto di violenza. Da più parti si fa avanti il pensiero che la violenza, in questo caso intesa come molestia sessuale o abuso di potere  sia una “colpa” della donna, perchè “ci sta”, perchè poteva opporsi, perchè poteva denunciare prima. Che ne pensi?

Io penso che ci sia un continuo ritorno della tentazione di attribuire alle vittime la responsabilità di quello che succede. Il tema di fondo è come mai noi assumiamo che sia naturale una asimmetria tra donne e uomini per cui gli uomini abbiano il potere e il denaro per poter accedere alla risorsa femminile che è il corpo? Perché ipotizziamo che sia del tutto normale questo scambio? Se ci pensi questa idea rappresenta anche una miseria della sessualità maschile prima ancora di parlare di reati e abusi. Cioè l’idea che dà per scontato che gli uomini debbano offrire una cena, fare un regalo , proporre un avanzamento di carriera o altro a una donna. Non guardiamo solo il ricatto che quella donna subisce ma guardiamo anche alla rappresentazione che questo “scambio” implica. Ad esempio che non ci sia la reciprocità di desiderio, ma  che ci sia un unico desiderio maschile e una disponibilità femminile. Rimuovere il desiderio femminile e costruire questa asimmetria  crea anche un illusione del potere femminile: il potere della seduzione.  È un’immagine che incontro spesso parlando con gli uomini che ti dicono “ma sono le donne che  ti fanno fare quello che vogliono, che usano la seduzione per manipolarti.” In una sorta di meccanismo perverso l’uomo che sottomesso alla seduzione si riprende quel potere esercitandolo nel rapporto sessuale. Forse dovremmo provare a smontare questa rappresentazione e, senza negare o rinunciare alle dinamiche del desiderio, imparare a pensare che la seduzione non deve per forza seguire il gioco delle parti della preda e del cacciatore. Nuove generazioni di donne ci hanno insegnato che anziché vivere solo nell’attesa dello sguardo maschile da cui essere gratificate, preferiscono mettere in gioco anche il proprio di desiderio. E per gli uomini è ormai tempo di misurarsi con la dimensione attiva del desiderio femminile e pensare che non abbiamo da offrire solo il nostro denaro e il nostro potere ma anche, e in maniera reciproca, il nostro corpo.

Riferimenti

  • Emerson, D. (2015). Trauma-Sensitive Yoga in Therapy. Bringing the body into treatment.
  • W.W. Norton & Company.
  • Spinazzola, J., Habib, M., Knoverek, A., Arvidson, J., Nisenbaum, J., Wentworth, R. & Kisiel, C. (2013). The heart of the matter: Com- plex trauma in child welfare. CW360° Trauma-Informed Child Wel- fare Practice.
Torna su