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Ricordi non voluti

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Il cervello ha la tendenza a percepire e analizzare gli stimoli negativi più velocemente di quelli positivi. Questo ha come conseguenza, dunque, una sensibilità a lungo termine anche verso le esperienze traumatiche del passato.

Persino gli indizi più sottili possono stimolare le memorie implicite e portare a un ricordo casuale negativo indesiderato. Senza poter fare una discriminazione dello stimolo, perché la corteccia prefrontale è inibita, il corpo risponde come se l’individuo si stesse confrontando con una minaccia di vita o di morte proprio in quel momento.

Istintivamente mette in atto le stesse risposte difensive di sopravvivenza come se ci fosse un pericolo imminente. Per i survivors che oggi hanno 40, 50 o 60 anni, questa riattivazione della memoria attraverso degli stimoli scatenanti è stata particolarmente onerosa. Molti, infatti, sono stati vittime di stimoli scatenanti per molti più anni rispetto a quanto è durato il vero trauma. Senza la consapevolezza che le loro risposte innescate sono la prova della loro memoria fisica ed emotiva, essi “credono” che il loro battito accelerato, la vergogna bruciante, i muscoli indolenziti, l’incapacità a respirare, l’intorpidimento e/o la rabbia esplosiva sono tutti segnali che sono ora in pericolo.

Quando diventa chiaro che non sono a rischio, emergono altre paure: forse stanno impazzendo, o hanno la prova che sono davvero difettati, o magari stanno solo recitando una vita “finta”.

Per questo motivo, molti dei survivors evitano una vita piena così da ridurre le esposizioni ai trigger. Altri, invece, mettono in atto comportamenti autodistruttivi per gestire le soverchianti sensazioni di attivazione. E questo ha come conseguenza il sentirsi sempre più danneggiati e difettati.

Riferimenti

  • Fisher, J. (2017). Healing the Fragmented Selves of Trauma Survivors. Overcoming Internal Self-Alienation. Routledge
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